Come avrete letto, se n’è andato a 90 anni Wolfango Peretti Poggi, in arte semplicemente WOLFANGO, considerato da molti come l’ultimo, grande artista del ‘900 italiano.
Fra le sue innumerevoli opere, oggi sparse fra luoghi pubblici e collezioni private, spicca “Allegoria del coma” (icona su parete, acrilico, 2004), da lui dipinta per il salone di ingresso della “Casa dei Risvegli” a Bologna, grande opera da lui dedicata a Luca De Nigris.
Con l’Associazione Amici di Luca e la Casa di Risvegli, il CSI di Bologna collabora da molti anni; di recente, dopo anni di progettazione sul territorio nazionale, la sinergia nella progettazione è sbocciata a livello internazionale, con il progetto LUCAS, oggi diffuso in molti paesi europei.
Di seguito, il suo ritratto scritto da Fulvio De Nigris, in occasione dei 90 anni.
LUCA CHE C’E’ MA NON SI VEDE
Non ricordo neanche più quando ho conosciuto Wolfango. So che ci conosciamo da molto tempo, so che c’è amicizia tra noi, so che nelle interminabili conferenze che ho seguito nella sala stampa “Luca Savonuzzi” di Palazzo d’Accursio a Bologna nella mia attività di giornalista ho avuto modo di soffermarmi varie volte sul suo “cassetto” che arreda tutta la parete dietro i relatori. Quel quadro, ricco di oggetti, di atmosfere, di rimandi, è intriso dei tanti argomenti dibattuti e presentati in quella sala. Se potesse parlare restituirebbe oltre agli oggetti rappresentati anche quelli che ha assorbito e che ne aumentano la sua ricchezza. Se poi questo quadro lo senti raccontare dall’autore ti accorgi di quante altre suggestioni contiene e, se pensi al catalogo che accompagna l’opera, con la famosa distruzione della finestra per farlo passare e trasportare fuori da campo visivo dell’artista, hai la conferma del difficile percorso che compie un’opera d’arte per arrivare al vasto. pubblico.
Quando pensai a Wolfango per un’opera che raccontasse il coma non avevo idea di cosa questa sarebbe diventata. Avevo ben chiaro che in una struttura come la Casa dei Risvegli Luca De Nigris l’arte dovesse entrare, dovesse costituire assieme ad altre iniziative un momento di raccordo con la città. Dovesse essere un modo illuminante di vivere il disagio, la malattia, per dire: questo non è un luogo diverso, questo è un luogo della famiglia, un posto della città. Sapevo perfettamente, come lo sapevo per tutte le professionalità, tutti gli amici incontrati nel lungo percorso per la nascita della struttura innovativa rivolta a persone con esiti di coma, che Wolfango era la persona giusta, che era l’incontro giusto. Lo sapevo mentre parlavo con lui, nella sua affascinante casa studio, davanti all’enorme quadro in costruzione, in gestazione, che rappresentava un enorme tagliere con al centro la farina e otto tuorli d’uova. Era un quadro, come i tanti suoi, fatto per se, per seguire l’istinto dell’artista senza sapere dove questo sarebbe andato. Abbiamo passato molto tempo davanti a quel quadro, altre a parlare nella stanza che raccoglie, aumentando sempre la sua dotazione, le statue dei personaggi che animano il suo presepe, altre a ragionare nel salotto nella religiosità degli scranni da chiesa. Avevamo chiaro che l’opera dovesse raccontare il coma, che dovesse avere dentro Luca ma al tempo stesso, se io non riuscivo ad immaginarmelo, dai suoi occhi vedevo che la sua idea stava nascendo. Lo vedevo, lo sapevo, nel momento in cui mi chiedeva se conoscevo l’anamorfismo, quando prendeva un libro per farmi vedere gli studi su questa particolarissima tecnica poco usata nel mondo, quasi nulla da noi. Mentre me ne parlava, mi citava il quadro dei due ambasciatori alla National Gallery di Londra in una parete troppo angusta, troppo corta, per permettere la ricostruzione dell’immagine anamorfica. Capivo che la sua idea era chiara per come mi chiedeva materiali, oggetti, foto, scritti di Luca. E mi venivano in mente gli incontri avuti in passato con Magnus, un altro grande artista, quando nel suo studio mi intratteneva con quella sua voce decisa che ad ogni frase sembrava elargire perle di saggezza, per farmi vedere la sua tecnica che definiva del “fritto misto”. In un foglio, alla rinfusa (ma forse lo sembrava a me) metteva ritagli di giornali, bozzetti, che servivano a quella particolare scena. E quando gli sembrava di aver raggiunto l’effetto desiderato solo allora cominciava a disegnare. Con Wolfango mi sembrava di essere tornati al “fritto misto”. Con la differenza che per quanti materiali io gli abbia portati, lui in realtà non ne ha usati nessuno. O per lo meno, giustamente, non li ha usati nella sua forma rappresentativa ma li ha interpretati nella loro essenza, nelle loro evocazioni. Per un’opera che lo ha impegnato per lungo tempo, mentre tutto intorno a questa si costruiva. Sono veramente molto orgoglioso che un artista così importante, così sensibile abbia realizzato questa “Allegoria del coma” che rappresenta anche. Luca ma non si vede, o per lo meno l’immagine si vede bene solo da un certo punto della scala. E’ in mezzo a tanti oggetti, tante suggestioni. Non c’è ma si intravede anche quando l’artista sul muro grezzo della Casa dei Risvegli in costruzione prende le misure per la sua opera. E’ forse la cosa più bella: che c’è ma non si vede. E se veramente non ci fosse, per il luogo in cui è, si vedrebbe lo stesso.
Fulvio De Nigris